L’ispirazione

A volte sono la prima a chiedermi da dove nasca la mia voglia di scrivere. Come tanti autori, anche io ho conosciuto il ben noto “blocco dello scrittore” e so cosa significa restare immobili di fronte ad un foglio bianco con assolutamente niente da dire, o da scrivere piuttosto. A dirla proprio tutta, io sono quel genere di scrittrice che impugna la penna, o batte sulla tastiera, solo quando si sente pronta per farlo o, almeno, crede di esserlo. Certo, talvolta sono stata costretta a scrivere senza se e senza ma, per fini editoriali principalmente, anche se per fortuna si è trattato di episodi sporadici.

Sento spesso parlare di ispirazione in contesti letterari e, più in generale, artistici. Ci hanno sempre fatto credere che gli antichi si rivolgessero alle loro Muse, in carne ed ossa o sotto forma di semplici allegorie, perché li ispirassero nella redazione dei loro poemi e canti. In qualche maniera Omero, ma come lui più tardi anche Dante con Virgilio e la sua divina Beatrice, ci ha voluto convincere che i suoi racconti fossero il frutto di un’illuminazione, o di una serie di illuminazioni piuttosto, del tutto simili all’annunciazione della Beata Vergine Maria. È in questa maniera che si è creato il mito dello scrittore-veggente, ovvero di colui che scrive in uno stato di quasi-trance e le cui parole sono dettate da una o più entità soprannaturali. Ma erano altri tempi quelli, tempi in cui chi aveva la capacità di redare un testo scritto, e fino all’Ottocento non erano certo in molti a poterlo fare, era considerato quasi alla stregua di un profeta. Oggi le cose sono cambiate, gli scrittori hanno perso la loro aurea magica e, in un certo senso, il loro ruolo di preminenza nella società.

Nessuno crede più che un libro sia un oggetto miracoloso prodotto da chissà quale mago o alchimista e contenente le risposte a tutte le domande dell’uomo. La stragrande maggioranza dei lettori del XXI secolo cerca nella letteratura solo un po’ di svago o, al limite, di conforto. Ecco perché tutti conoscono autori come Stephen King o Ken Follet, non certo famosi per il loro stile particolarmente ricercato: le storie che imbastiscono inchiodano il lettore alla sedia e gli permettono di dimenticare, almeno per qualche ora, i suoi turbamenti quotidiani. Per scrittori di questo genere, dai quali ci si aspetta almeno un romanzo da ottocento pagine all’anno, l’ispirazione non può che essere una grande baggianata. Per loro esistono solo metodo, costanza e duro lavoro quotidiano.

Forse è vero che col tempo si è perso un po’ il “senso del bello”. Ma è vero anche che gli individui del nuovo millennio, rispetto ai loro avi, oltre che più scolarizzati, sono anche decisamente più esposti a stimoli esterni di ogni genere. Le storie banali, o comuni, non suscitano più alcun interesse, seppur scritte a regola d’arte. E in questo senso gli scrittori si sono, naturalmente, conformati. Ecco perché io cerco i miei incoraggiamenti letterari, piuttosto che la famosa ispirazione, in ciò che vedo e sento nei libri, alla radio, sul Web o alla TV. Leggo moltissimo, questo lo ammetto, ma spesso una serie televisiva, una trasmissione radiofonica o una canzone, sono in grado di trasmettermi una voglia irrefrenabile di mettermi a scrivere. Molto più di un grande classico contemporaneo.